Ramana Maharshi. Vita e insegnamenti di B. V. Narasimha – recensione
L’uomo di cui leggiamo la biografia è uno dei più grandi saggi dell’India contemporanea. È stata scritta mentre Maharshi era ancora vivo e ne ha potuto rivedere le parole, poiché l’autore – Sri Narasimha Swami – è uno dei suoi primi e più vicini discepoli, che si unì a lui negli anni Venti del Novecento. L’autore, politico e uomo di Legge, ha condotto un vero e proprio studio su Ramana Maharshi, e «ha avuto moltissime occasioni per studiare gli uomini e le cose», p. 132.
Il fatto che questa biografia sia stata scritta – e rivista da Maharshi stesso – mentre il guru (sebbene egli abbia sempre rifiutato l’idea di essere un guru…) era ancora vivo*, permette una freschezza, un’attualità e un’evocazione rare in altre opere analoghe.
* Ramana Maharshi era nato il 30 dicembre 1879 ed morì il 14 aprile 1950, venerdì, alle 20 e 47 minuti; in quel preciso istante numerose persone (tra cui il famoso fotografo Henri Cartier-Bresson, la cui testimonianza si può leggere da p. 147 del libro, videro una cometa procedere da sud verso nord e sparire dietro la montagna Arunachala.
Vita quotidiana
Ci sono dei capitoli che narrano la vita quotidiana nell’ashram: leggendoli viene da pensare (o almeno, a me è venuto da pensare…) «Acc…! Perché non c’ero anch’io?», ma contemporaneamente sono così evocativi da permetterti di sentire l’atmosfera che regnava nei luoghi in cui Maharshi è vissuto.
Ci sono le sue parole dirette, alcuni satsang riportati fedelmente (qui e là nel libro, per esempio dove si parla delle “quattordici domande e risposte”, da pagina 53 e seguenti), anche grazie alle parole dei suoi molti discepoli, negli ultimi capitoli.
Ramana Maharshi. Vita e insegnamenti, di B.V. Narasimha, edizioni Mediterranee
Una narrazione vivida che illustra con grande realismo l’India rurale, tradizionale e religiosa del XX secolo: Ramana Maharshi – Vita e insegnamenti è la prima biografia di uno dei più grandi Saggi dell’India contemporanea, scritta da uno dei suoi primi e più vicini discepoli: un racconto proteso verso la realizzazione del Sé.
Le foto-testimonianze
Tra le molte immagini in bianco e nero posizionate non a caso nelle pagine del libro ho trovato meravigliosa quella di p. 99, in cui Ramana Maharshi, seminudo e con i piedi nell’acqua, posa accanto alla vacca Lakshmi, pure lei «nuda» e con le zampe semisommerse.
L’importanza della foto sta tutta nel racconto riportato in nota al capitolo I nostri amici animali, che faremmo bene a leggere con attenzione, per decidere anche cosa mangiare, e non solo come cibo fisico. Un giorno un devoto donò all’ashram una mucca e una vitellina:
«Si ritiene che la vacca sacra, considerata “la madre che nutre”, doni anche il cibo spirituale. Una diffusa credenza vuole che soltanto dopo l’arrivo di Lakshmi […] l’ashram abbia cominciato veramente a prosperare. Un giorno [un vicino] venne all’ashram con la mucca e la vitellina “Lakshmi” e poi se ne tornò a casa con loro. L’indomani, però, la vitellina ritrovò la strada e andò direttamente da Ramana, per poi tornarsene in città alla sua stalla. Lakshmi (dea della prosperità) divenne membro permanente dell’ashram a partire dal 1930 e fu in satsang (associazione) con Ramana fino al suo samadhi (secondo i termini dell’ashram e di Ramana) nel 1948 (due anni prima di quello di Ramana. Si dà per scontato che abbia ottenuto la realizzazione e raggiunto il nirvana, […] Tra Lakshmi e Ramana si stabilì un’osmosi rara. Nel giorno dell’inaugurazione della stalla si decise che la mucca […] sarebbe entrata per prima […]. Invece essa si mise dietro di lui, invitandolo in tal modo a entrare per primo per santificare il luogo […]. Attualmente vi sono più di 130 tra mucche e vitelli, oltre a un toro e un bue. Le mucche producono tra i 230 e i 270 litri di latte al giorno. Questo latte e i suoi derivati […] provvedono ai bisogni dell’ashram e dei visitatori. Si utilizzano anche lo sterco e l’urina, il primo per ottenere il gas che alimenta i cilindri e i fornelli della cucina, mentre il resto viene utilizzato come compost per le coltivazioni. L’urina mescolata con un po’ di olio di neem è un eccellente pesticida e fungicida naturale; […] entra anche nella composizione dei medicamenti ayurvedici, tra cui il famoso panchagavya, ovvero i “cinque prodotti (sacri) della vacca”: sterco, urina, latte, curd, ghi (burro chiarificato). Oltre che come fertilizzante, è utilizzata come offerta al tempio (prasad) e anche in ottimi cosmetici naturali», p. 98.
Le foto-trasformazione
A mano a mano che ci si inoltra nel libro si notano dei cambiamenti anche in Ramana Maharshi, grazie alle foto, da quella di p. 30, all’inizio del cambiamento, a una del tutto diversa, a p. 126. Da quando, di aspetto piacevole e molto somigliante alla bella madre, aveva «lunghi riccioli color nero corvino» a quando «senza esitare si separa dai suoi capelli. La testa rasata è un segno di ascetismo (sannyasa) di separazione da tutte le vanità di questo mondo, dell’entrata in una realtà ben più autentica di questa. Strappa in pezzi il suo abito e non ne tiene che uno per indossarlo come perizoma, kaupinam, gettando via il resto con ciò che gli rimane del suo denaro. A partire da questo momento non toccherà mai più il denaro. Si toglie anche il cordone sacro dei brahmani che porta intorno al corpo», p. 34.
Mentre lo Swami si trasforma interiormente, il suo cambiamento è evidente nelle foto, nello sguardo, nel sorriso «realizzato» presente nel contro-frontespizio.
Giovanni il Battista a Tiruvannamalai
Scusate il giochetto, ma intendo condividere l’origine del nome Ramana, e leggendola mi è venuto in mente un parallelo tra chi ha battezzato Gesù il Cristo e il discepolo Ganapati Sastri che ha «battezzato» lo Swami sulla Montagna con il nome «Ramana», come sarà conosciuto da allora in poi. Nel libro è narrato l’incontro tra Ganapati Sastri, coltissimo, che ebbe a dire:
«”Tutto ciò che c’era da leggere l’ho letto […]. Nonostante ciò, non ho compreso cosa sia un tapas (devozione). Quindi sono venuto a prendere ri fugio ai vostri piedi. Ve ne supplico, spiegatemi la natura del tapas”. Per una quindicina di minuti [un’eternità! NdR] lo Swami osservò in silenzio l’uomo prostrato davanti a lui pieno di speranza. Nessuno può disturbarli. Poi gli dice queste parole brevi e profonde in tamil: “Chi vede da dove nasce la nozione di ‘io’, vedrà la sua mente assorbita in questo. Questo è il tapas. Quando un mantra viene ripetuto, colui che rivolge l’attenzione alla fonte da cui viene prodotto il suono del mantra, vedrà la sua mente assorbita in questo. Questo è il tapas”», p. 58.
A quel punto Sastri compone dal nulla delle odi in onore dello Swami e, venendo a sapere che il suo nome è Venkataraman Ayyar lo contrae in «Ramana». Perciò dobbiamo ringraziare Ganapati Sastri per il nome con cui, nel mondo intero, è conosciuto lo «Swami della Montagna».
Come un grande maestro si comporta con la madre… e con i ladri
È troppo lungo per scriverlo tutto, ma non perdetevi il capitolo Un furto nell’ashram, pp. 89 ss., in cui leggiamo che i ladri sono accecati dall’ignoranza, che non sono stati guidati, e che «A volte ci mordiamo la lingua con i denti, è forse una ragione per colpire i denti?». Chapeau… come si dirà in sanscrito?
A proposito dell’anziana madre, Alagammal, rimasta senza mezzi di sussistenza, un intero capitolo, il 20, narra dei problemi sorti nell’ashram quando intese «fare dell’ashram del figlio la sua modesta dimora». I discepoli non erano d’accordo, temendo che Ramana Maharshi se ne andasse; ma «Occuparsi di una madre anziana e senza mezzi è un dovere, perfino per un eremita»; nonostante questo, in modo intelligente, lo Swami inizia a istruire la madre, cominciando a non risponderle quando gli parla, dicendole «Tutte le donne sono mia madre, non tu soltanto». Piano piano Alagammal capirà l’intento del figlio, aiutarla a «svincolarsi dalle illusioni mondane per impegnarsi nella via del distacco […] della spiritualità». Ramana Maharshi veglierà sulla madre fino alla fine, per 6 anni durante i quali Alagammal indosserà la veste ocra dei rinuncianti e lavorerà per l’ashram con spirito di servizio (seva).
Sempre il cinema…
… abbiate pazienza (e se è molto che non leggete mie recensioni – o è la prima volta che lo fate – ve lo ricordo: adoro il cinema, e mi viene sempre in mente qualche pellicola, qualche scena, qualche dialogo, qualche interpretazione da citare come omaggio). Per questo libro ho inevitabilmente ripensato al film Il piccolo Buddha e al suo bel modo di raccontare la vita di Siddharta a un bambino che forse è la reincarnazione di un monaco. Nella Seattle odierna il bambino riceve in dono un libro «di fiabe», con belle illustrazioni, dove si narra la vita del principe Siddharta – e il film scorre tra immagini di oggi e meravigliose scene antiche e coloratissime del percorso che Siddharta Gautama compì per arrivare all’Illuminazione.
Il libro presentato fa un po’ la stessa cosa: tramite racconti di vita vissuta – davvero vissuta! Non dimentichiamo che questa biografia è stata scritta mentre lo Swami era vivo – assistiamo (forse anche dentro di noi?) alla trasformazione di un ragazzino nato nel piccolo villaggio dell’India meridionale in quello che è considerato a tutti gli effetti uno dei più grandi saggi dell’India contemporanea. Leggiamo anche che visse l’esperienza della «conversione» a 17 anni – come molti altri mistici alla stessa età.
Ramana Maharshi. Vita e insegnamenti, di B.V. Narasimha, edizioni Mediterranee
Leggendo di fratelli, mucche, ladri, libri, concorrenza e nemici, discepoli e discepole, ci sembra di assistere a una fiaba come quelle che leggevamo (o, meglio, ascoltavamo) da bambini. In qualche modo misterioso ci sembrava che quel che accadeva nella fiaba ci riguardasse da vicino… eppure non c’erano draghi fuori dalla finestra, né maghi che lungo la strada ci fornissero oggetti fatati per affrontare le prove. Sì, questa «prima biografia di riferimento» (come recita il sottotitolo) di Ramana Maharshi è anche un bellissimo libro di «fiabe» per adulti. Si legge come una fiaba, ben sapendo che è tutto vero… e sta accadendo proprio ora…